lunedì 28 ottobre 2013

San Raffaele-Telethon: pubblicata nuova ricerca sul rene policistico



Nuova luce sui meccanismi molecolari alla base di una delle malattie genetiche più diffuse, il rene policistico autosomico dominante, che solo in Italia colpisce ben 60mila persone: lo annuncia uno studio pubblicato su Nature Communications dal gruppo di ricerca dell’Istituto Telethon Dulbecco guidato da Alessandra Boletta presso la divisione di Genetica e biologia cellulare dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano. Il lavoro fornisce un contribuito importante alla comprensione del meccanismo con cui si formano le cisti a livello renale.

Alla base della malattia, caratterizzata dalla progressiva formazione di veri e propri “palloncini” ripieni di liquido che danneggiano progressivamente il rene, ci sono difetti in due geni, PKD1 e PKD2, che contengono le informazioni per altrettante proteine chiamate policistina 1 e 2.

L’ipotesi più condivisa è che le due policistine siano importanti per il corretto sviluppo dei tubuli renali, le strutture responsabili della raccolta dell’urina man mano che si forma. «In questo studio abbiamo dimostrato in un modello animale privo di Pkd1 come la mancanza di una versione funzionale di questa proteina impedisca una corretta formazione dei tubuli renali, che si presentano con un diametro maggiore del normale. Questo suggerisce che la policistina 1 potrebbe avere questo ruolo, ma dobbiamo ancora stabilire con certezza se la dilatazione dei tubuli renali possa effettivamente contribuire alla formazione delle cisti» dice Maddalena Castelli, primo autore del lavoro. «In questo lavoro abbiamo però dimostrato che la policistina svolge questa funzione grazie alla sua capacità di regolare la polarità cellulare, ovvero la capacità delle cellule di orientarsi nello spazio».

Commenta la Dott.ssa Boletta. «Il rene policistico è una malattia che esordisce tardivamente e progredisce lentamente, quindi basterebbe trovare il modo di rallentare la formazione delle cisti e la loro tendenza a espandersi invadendo il tessuto circostante. Se riusciamo a neutralizzarne l’impatto sul resto del rene, per esempio riducendone la capacità di produrre fluido e di ingrossarsi, i pazienti potrebbero conviverci senza un impatto dannoso sulla loro qualità di vita. Ma per farlo dobbiamo capire esattamente quali sono i meccanismi intaccati dal difetto genetico. Questo potrebbe portare a disegnare terapie molto mirate e pertanto efficaci. ».

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