Una chiamata perentoria per i nostri Governi
di Guido F. Guida
L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha parlato chiaro: “La malattia coronarica è la principale causa di morte in tutto il mondo; è in fase di crescita ed è divenuta una vera pandemia che non rispetta alcun confine”. A far data dall'ormai lontano 1999 possiamo anche leggere questa affermazione sul suo sito internet.
Il dato preoccupante e che ci deve fare riflettere, però, non è tanto quanto abbiamo finito di segnalare, bensì che la stessa affermazione venisse fatta dal massimo organismo mondiale in tema di sanità addirittura nel 1969. In altre parole 30 anni sembrano trasorsi invano! Non si fa, quindi, abbastanza per la cura e, soprattutto, per la prevenzione cardiovascolare.
Come è noto le malattie cardiovascolari hanno alla base la malattia aterosclerotica caratterizzata da tutta una serie di processi progressivi e consequenziali che vanno dalla deposizione nei vasi di grassi (colesterolo, in particolare) all’infarcimento delle cellule. Ciò produce processi infiammatori e placche aterosclerotiche che possono determinare, se l’ostruzione è parziale, una costrizione cronica (angina pectoris) se l’ostruzione è improvvisa un infarto.
La malattia cardiovascolare se da una parte è relativamente recente nella storia dell’umanità (circa 60 anni), nella vita del singolo uomo prima di rendersi manifesta in modo acuto (infarto acuto del miocardio, angina pectoris, ictus cerebrale etc…) impiega circa 15-20 anni, e forse più. Essa, quindi, attraversa una lunga fase asintomatica sulla quale è possibile agire con la prevenzione. Tale fase, secondo alcuni, affonderebbe le proprie radici nella vita fetale da dove si potrebbe iniziare facendo prevenzione......altro
Le società scientifiche nazionali ed internazionali si riuniscono ed elaborano linee guida sempre più aggiornate. In due anni ne sono state pubblicate ben quattro: quelle NICE (National Institute for Health and Clinical Excellence )inglesi , quelle ACC/AHA (American College of Cardiology/American Heart Association) nordamericane, quelle italiane relative al “Percorso diagnostico terapeutico per la gestione del rischio del paziente cardiovascolare, renale , metabolico” che hanno messo insieme ben dieci associazioni mediche italiane( SID, AMD ,FIC, SIPREC, SISA, SINCAR, SIMG, GICR-IACRP, AID, SIN) e, recentissime, quelle della Società Europea di cardiologia frutto della collaborazione con ben otto società scientifiche europee (ESC, EAS, ISBM, ESO, ESH, EASD, ESGP/FM/WONCA, IDF-Europe, EHN). Ma il problema resta ed è sempre più imponente. C’è o ci sarà una soluzione?
Tutte queste linee guida, comunque, concordano sul fatto che la base per affrontare il problema è una buona politica sanitaria. Un adeguato indirizzo politico che sappia sfruttare anche le leve della fiscalità cosiddetta di vantaggio che crei un terreno favorevole dove possano svilupparsi comportamenti e percorsi virtuosi. Ad esempio le linee guida NICE inglesi propongono un controllo ed intervento sui seguenti punti: sale, grassi saturi, acidi grassi trans, marketing e promozione indirizzata ai ragazzi e giovani, interessi commerciali, etichettatura dei cibi, valutazione dell’impatto sulla salute, politica sull’agricoltura, promozione dell’attività fisica, interventi sulla ristorazione (take-away ed altri outlet del cibo), monitoraggio tramite adeguati indicatori. Una volta creato un ambiente e delle condizioni favorevoli dovranno intervenire in modo coordinato e finalizzato un insieme di figure professionali.
Ma nulla potrà essere realmente tentato se non si parte dal cittadino/paziente che, adeguatamente educato e motivato, agisca in maniera propositiva e consapevole (empowerment) all’interno di un sistema che coordini e finalizzi tutte le figure interessate: medico di famiglia, infermieri, specialisti (cardiologi, internisti etc…), servizi specialistici ospedalieri, scuole, aziende produttrici di prodotti agro-alimentari, associazioni di volontariato. Ognuno dovrà fare la propria parte con impegno collaborando con gli altri e seguendo un percorso di gestione integrata del rischio cardiovascolare.
In un recente articolo sull’efficacia e sul rapporto costo-beneficio delle prevenzione cardiovascolare nell’intera popolazione pubblicato sul Britsh Medical Journal (BMJ 2011;343:d4044doi:10.1136/bmj.d4044) P. Barton e coll. concludono affermando “Qualsiasi intervento che raggiunga perfino una modesta e diffusa riduzione di uno dei maggiori fattori di rischio cardiovascolari produrrà un netto risparmio dei costi del servizio sanitario nazionale e, contemporaneamente, migliorerà la salute”. Le chiamate da parte delle società scientifiche ci sono state e ci sono occorre che anche i governi ed il Servizio sanitario nazionale facciano la loro parte.
Fonte : .palermoparla.it
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